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09 Giu 2025

Cinque referendum, nessuno valido: perché non votiamo più?

Ieri e oggi si è consumata l’ennesima occasione persa: cinque referendum popolari — su cittadinanza e diritti nel mondo del lavoro — e nessuno che abbia superato il quorum del 50% più uno degli aventi diritto al voto.

È la terza volta consecutiva che accade negli ultimi anni. E ogni volta, la domanda torna a farsi più urgente: perché non andiamo più a votare?

La democrazia disabitata

L’astensione è ormai la vera protagonista della vita politica italiana. Non è solo disinteresse: è una forma di sfiducia profonda, di senso di inutilità. Sempre più persone sentono che votare non cambia nulla, che partecipare non incide, che tutto è già deciso.
È il sintomo di una democrazia disabitata, dove il diritto al voto si sta trasformando in una pratica vuota, da lasciare scadere come un abbonamento non rinnovato.

Quorum, ostruzionismo e passività

Il meccanismo del quorum — pensato per garantire che la volontà popolare sia davvero rappresentativa — si è trasformato in uno strumento di disinnesco. Le forze politiche, quando non condividono un quesito, non invitano al confronto: invitano all’astensione.
E così il cittadino si trova davanti a una scelta che non è più tra “sì” e “no”, ma tra “andare” o “non andare”. E sempre più spesso sceglie la seconda opzione. Per pigrizia, per protesta o — peggio — per assuefazione.

Cittadinanza, tutele, dignità

I quesiti toccavano temi concreti: la possibilità di diventare cittadini italiani dopo 5 anni, il superamento del Jobs Act, la tutela dei lavoratori precari, il rafforzamento della sicurezza negli appalti.
Temi che parlano di diritti, di inclusione, di dignità. Ma che non sono riusciti a mobilitare abbastanza interesse, abbastanza fiducia, abbastanza senso di responsabilità.

Una rinuncia collettiva

Non andare a votare non è un atto neutrale. È una scelta che pesa, perché consegna il nostro diritto (e dovere) democratico a qualcun altro. Rinunciare alla partecipazione significa accettare che siano altri — partiti, lobby, correnti — a decidere in nostra vece.

In un tempo in cui la politica sembra distante, lenta, inadeguata, verrebbe naturale girarle le spalle. Ma è proprio in quel momento che il nostro silenzio si trasforma in complicità.

Riaprire il discorso

Serve più informazione, certo. Ma serve anche ritrovare il senso della partecipazione come atto culturale, come responsabilità collettiva. Il voto non è solo uno strumento: è un presidio simbolico, una presa di parola.
E quando non lo esercitiamo, stiamo lasciando parlare qualcun altro — spesso senza nemmeno accorgercene.

Oggi più che mai, non possiamo permetterci il lusso dell’apatia. Perché ogni astensione è una storia non raccontata. E ogni referendum che fallisce è un’occasione in meno per decidere insieme il nostro futuro.

pluralecom

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